Dichiarazione di f. seguita dal trittico delle Pendici ⥀ Schizoprose di Luke Ballordo
Finalmente è giunto il momento di scoprire quando nacque Luke Ballordo (per sapere chi è, cliccate qui). Le origini saranno chiare leggendo La dichiarazione di f., accompagnata da un nuovo trittico di schizoprose. La punteggiatura è frutto dell’editing, segnalato in altri punti con le parentesi quadre. Ad accompagnare i testi, un’illustrazione realizzata dall’autore. In calce la serie completa
Premessa
La dichiarazione di f: è da lì che nasce Luke Ballordo. È la prima cosa che ha visto quando è nato e per questo gli è rimasta più impressa e lo ha segnato ed è il perno che lo sposta nel profondo, dal malumore al buon umore e viceversa. Questo so. Tutto a prescindere dal sesso che contraddistingua f. Ciò ribadisco per far risaltare l’opposizione sul piano umano anziché su quello sessuale, che ha fuorviato e deragliato chi ha letto questo testo dal senso che io a[i] mi[ei] temp[i] attribui[i] alla dichiarazione di f. È importante pubblicarla perché la legga finanche f. stesso, che la possa perlomeno modificare.
(Luke Ballordo)
⥀
La dichiarazione di f.
Nessuno ha il diritto di conferirsi autonomamente i ricordi che più gli piacciano. O almeno può farlo a parimerito. Oppure meno di quanto gli altri in ciò lo vogliano assecondare.
Questo finto nessuno si chiamava f., come tuttora [si chiama, con] la sua arrogante sicurezza e la sua importante reputazione. Insomma si è arrogato di sana pianta 4 diritti:
- il diritto di ottenere per sé stesso solo bei ricordi, o almeno dice ciò la sua immagine facebook;
- il diritto di testimoniare in modo cruciale la limpidezza della bruttezza che costituisc[o]no i miei di ricordi. Cruciale poiché ha ottemperato a tale scopo: 1) in presenza di assortiti testimoni; 2) durante il debutto assodato della mia immolazione ambientale a me palese; 3) per tutte le connotazioni atroci, tormentate, buie, vergognose, fatalistiche; [4)] ha dedicato solo una manciata di secondi [a] ignorare l’allora mio stato d’animo precario; [5)] ne ha instillato previa acida noncuranza il mio odio per tutta la vita: a) ha candito quell’acidità con del rassicurante buon umore; b) ha colto il mio primo ignorarlo come un’opportunità per infierire nella mia piaga con raffinatezza e profondità; c) ha instillato in questo unico sguardo il suo addio da me insperato; d) nello stesso ultimo approccio alla mia persona ha profuso distruzione molto longeva, [per] decenni;
- quindi il diritto di generare in me stesso un principio fecondo di diminuzione a macchia d’olio sulla bellezza dei miei ricordi per tutte queste sinergie tra fattori e sotto-fattori;
- il diritto di farsi a riguardo il lavaggio del cervello in prossimità del mio interpellarlo scorso.
Per tutto ciò e quant’altro io ho sempre reputato f. il Re legittimo dell’albo dei degni, ma ciò prescinde dal caso in cui lui non si conosca da nessuna parte, poiché fino ad ora nessuno ha in niente dimostratomi più esaustiva sincerità rispetto alla sua, per la tempistica, la naturalezza, la sua fierezza, tutto pane quotidiano per l’allora sua età precoce. Senza darlo a vedere oppure senza accorgersene, come in un gioco tra contrappesi, lui svetta tra i più grandi ma snobbando la grandezza, così da confinarmi fuori dal bordo estremo dell’albo dei degni, io che sono snobbato dai più piccoli e contemplo il niente.
La differenza fondamentale tra me ed f. è evidentemente che lui è il più meritevole di fiducia che io conosca mentre io quello minore.
E inoltre non ho mai capito veramente se la mia esperienza a riguardo sia una grande illusione che devo per forza rimpiazzare da chissàddove.
“Ci ripensi sempre” mi dite. Ma questa frase, che voi a vostra volta mi ripetete, cosa mi cambia? Già lo so che ci penso e a cosa serve che me lo evidenziate? A niente.
Poi mi dite che non mi devo fare carico dei problemi degli altri. Ma io vi correggo: non [de]gli altri, ma [suoi] e non è suo il problema, ma è mio, perché lui l’ha certificato più di ogni altra persona al mondo. In effetti, tra gli altri messaggi che mi ha espresso in quell’istante, nel suo ultimo sguardo f. alluse all’evidenza, ma a me mai abbastanza nota, del fatto che nessuno mi ha mai voluto bene con sincerità, cioè senza convenienza e senza convenzione. Poiché sento di non essere meritevole di niente: io sono un affronto per la vita con cui entro in contatto. Per questo Dante direbbe che mi merito l’inferno e sono d’accordo nel dire che questo inferno è il paradiso, ma non lo cerco poiché non mi merito di essere nato, meno che mai qualcosa di più. A me piace ottenere per me solo ciò che mi spetta, ma anche no perché anzi la mia vita è un insulto, il mio respiro è arrogante, la mia postura è strafottente, la mia capigliatura è indegna.
Tutto a prescindere dal sesso che contraddistingua f. Ciò ribadisco per far risaltare l’opposizione sul piano umano anziché su quello sessuale che ha fuorviato e [fatto] deraglia[re] chi ha letto questo testo dal senso che io a[i] mi[ei] temp[i] attribui[i] alla dichiarazione di f.
⥀
Alle pendici della montagna dei petti tinti
A te, persona ad personam t’è stato inoculato di inocularmi tutto l’inoculabile possibile che di me faccia una faccia tale che se ne dica un giorno: alla faccia! Ma sotto alla quale scruto a oltranza ciò [che] appunto copr[e] la mia stessa faccia, a cui si affaccino gli ancora forsennati veggenti di ciò che feci che quindi rifarò, poiché del [suo] ronzante, indigesto rimasuglio non può farsi ecologia e ne è quindi foce.
La presente palude sta a galla il mio ignorare fatto di ventidue anni di sospetti per i quali io imbarco ignoto che ignoto rimane, ma è cercare di nominarlo oppure di ignorarlo che mi distrae dall’inoculabile mia presenza nell’altrui vita.
…
Inutile dire quanto tutto questo sembri una grande inoculata.
⥀
Un normale in mezzo agli strani
Nel mondo di Ridicollo vivono a loro agio i ridicolli autoctoni nelle loro innumerevoli etnie, che differiscono l’un l’altra da una posizione del loro tondo sorriso, di volta in volta localizzato tra punti rispettivamente precisi e pur sempre a metà strada tra i loro denti e il loro collo; non è un caso quindi che in ridicollese antico il termine ridicollo voglia dire gargarozzo che ride.
Su Ridicollo nessuno viene deriso al di fuori dei rididenti, che sono in estrema inferiorità numerica e alla volta dei cui ghetti gli stessi ridicolli stabiliscono solitamente il rastrellamento coatto di interi [loro] assembramenti promiscui.
La tolleranza dei ridicolli nutrita verso i rididenti è oramai agli sgoccioli, eccetto che per i pochi ridicolli magnanimi che appunto si ostinano a fondare scuole fittizie, fittizie per non scatenare le ire degli abitanti, quindi non ufficialmente dichiarate appositi contenitori e al contempo trasformatori di rididenti in ridicolli.
Tant’è vero che a infiammare gli animi del popolo intero dei ridicolli è il non fare testo; [fare testo] è anzi reputato troppo pericoloso, finanche da menzionare acidamente, pena il reflusso e l’infame e spigoloso o quadrato sorriso dei rididenti, per cui ogni detentore del perseguibile gargarozzo quadrato, se riconosciuto a portare appeso al collo delle piastrelle quadrate, se si spezza il cordino, è obbligato a stringerlo al petto come fosse il loro bebè, pena la morte.
Qui tutto gira attorno ai ridicolli per la cui profonda varietà della forma dei gargarozzi, soprattutto in fase di gargarismi, vige una parlata dolce e simpatica che fa venire il mal di mare a tutti i rididenti rispetto alla risata dura e sinistra del rididentese.
Dunque, in onore della purezza di tutto ciò cui ride il collo si compiono quotidiani linciaggi di rididenti.
Firmato
Un ridicollo camuffato in un umano cui ridono i denti ma senza aver mai saputo come si fa, cosa che continua a fomentare l’ilarità e il disgusto di tutti ’sti umani cui sempre ridono i denti; lui consapevole al contempo di non poter mai esprimere la sua ridicollezza, per il timore collaudato di essere confuso con un ridicolo da parte di costoro che su Ridicollo vengono additati e lapidati mentre [gli] si sbraita contro “devi mori’ rididente emme”.
⥀
Io non cammino
Io non cammino perché penso di non essere in gamba, di essere completamente un esule muscolo spompato dal peso del titolo della disgambatezza.
Non mi sento neanche l’ultima tra le prime gambe.
A che servono queste gambe se stanno solo a recitare il copione di ambire il vero sgambettare.
Non essendo in gamba non so cosa si possa provare.
Eppure, a questo sentore di inaggambatezza si oppone presso di me un comune ritrattare a dispetto del primario biasimo a me enunciato con disinvoltura da tutti ’sti sedicenti in gamba e ingombranti gambambre; tutti infatti a carambolare nell’ambra per truffare il tempo di più tempo d’altri tempi, quelli di cui si disser[o] già a cavallo con la scusa di accavallare le gambe.
Abbiamo barattatto l’avere i piedi per terra, come perno dell’essere in gamba davvero, con l’essere gambe a mollo come contraccolpo del non ammettere l’essere tutti in gamba, per la cui insperata totalità io di mio più avrei la scusa del muovermi gambe in spalla e senza scegliere cosa è vero e cosa falso in questo sottobosco di gambe in cui io attualmente mi scialacquo.
Tutte le schizoprose di Luke Ballordo
Il manipolo di sconosciuti
Gogna
La [sua] presunta trasparenza
Baluardo di dichiarata stranezza
Io sono un millepiedi
Interpretazione della realtà